Diffida ad adempiere
Quante volte vi è
capitato di aver instaurato un rapporto con la pubblica
amministrazione e di non aver mai ricevuto una adeguata risposta.
E' ciò che capita, in
modo quasi sistematico, al cittadino extracomunitario che si appresta
a vedere riconosciuto il proprio diritto al rilascio del permesso di
soggiorno.
Ricordiamo a noi stessi
che l'ottenimento, il rinnovo, la revoca ed il diniego del permesso di
soggiorno, si inseriscono nella fattispecie dei procedimenti
amministrativi. In quanto tali sono assoggettati alla legge sulla
"trasparenza" e cioè la legge 7 agosto 1990, nr. 241.
Il diritto
dell'immigrazione, nelle sue più svariate sfaccettature, rientra tra
le posizioni giuridiche soggettive ritenute rilevanti dalla pubblica
amministrazione. In parole semplici la legge che regola i rapporti tra
cittadini e pubblica amministrazione è la stessa che regola i rapporti
tra immigrati e la pubblica amministrazione.
La Questura, la
Prefettura, l'Ambasciata, il Consolato, l'ufficio provinciale del
lavoro, le camere di commercio altro non sono che enti dello Stato e
quindi pubblica amministrazione. In quanto tali tenuti al rispetto del
principio della legalità, della economicità, della efficacia, della
pubblicità e della ragionevolezza.
In sostanza, quando
chiedete il permesso di soggiorno, e depositate le relative istanze,
avete dato inizio al procedimento amministrativo.
Il procedimento
amministrativo del rilascio o del rinnovo del permesso di soggiorno si
articola in quattro fasi quali la fase dell'iniziativa, la fase
istruttoria, la fase decisoria e la fase integrativa dell'efficacia.
Solitamente, tra l'avvio
del procedimento e il rilascio di un provvedimento scritto con
relativa motivazione deve intercorrere un determinato periodo di
tempo.
Fate quindi attenzione
alla data apposta in calce al cosiddetto "cedolino".
Da quel giorno decorre
il termine necessario al rilascio o al rinnovo del permesso dì
soggiorno.
La Questura, nel
rilasciare il permesso di soggiorno è tenuta al rispetto di
determinati termini che purtroppo, solo in alcuni casi, sono
perentori.
In assenza di termini
perentori e cioè di termini che comportano la decadenza e nullità di
un procedimento amministrativo con relativo silenzio accoglimento, la
questura è comunque tenuta all'obbligo di concludere il procedimento
avviato.
Alla luce di tali
considerazioni cosa fare nel caso in cui non venga rinnovato il
permesso di soggiorno in tempi utili?
Ricordando che è sempre
bene richiedere il rinnovo del permesso di soggiorno almeno trenta
giorni prima della scadenza, le Questure competenti, ex art.5 comma 9
D.L.vo. 25 luglio 1998, nr. 286 sono tenute entro venti giorni, dalla
data in cui è stata presentata la domanda di rinnovo (quella apposta
sul cedolino) a rilasciare o rinnovare il permesso di soggiorno.
Non fatevi illusioni,
questo termine non è perentorio. Non significa che la questura, se non
rilascia il permesso di soggiorno entro venti giorni ha, nei fatti,
accolto la vostra domanda di rinnovo.
Significa che il
silenzio della questura è un silenzio-inadempimento o silenzio-rifiuto
che si manifesta nell'ipotesi in cui la pubblica amministrazione, di
fronte alla richiesta di un provvedimento da parte del cittadino,
abbia omesso di provvedere entro ì termini previsti dalla legge e
questa non contenga alcuna indicazione sul valore da attribuire al
silenzio.
In questi casi si potrà
impugnare giudizialmente il silenzio-inadempimento, come se fosse un
provvedimento scritto, solo se 1) sono trascorsi almeno 60 giorni di
inerzia della pubblica amministrazione in merito all'istanza
presentata; 2) è stata presentata diffida formale ad adempiere,
notificata a mezzo deposito o a mezzo A/R; 3) a seguito del deposito o
dell'avvenuto ricevimento della diffida sono trascorsi ulteriori 30 gg
di inerzia dell'amministrazione.
Formatosi così il
silenzio-rifiuto da parte delle questure, potrete "impugnare" tale
silenzio al TAR per ottenere una sentenza che tenderà ad accertare
l'obbligo della questura ad emettere il provvedimento rinviando alla
stessa perché adotti il provvedimento omesso.
In realtà il farraginoso
meccanismo dell'impugnazione avverso il silenzio-rifiuto spiega la sua
massima efficacia nella, diffida ad adempiere e cioè l'atto formale
con il quale si diffida il responsabile del procedimento a compiere
l'atto del suo ufficio e ad esporre le ragioni del ritardo entro 30
giorni dalla ricezione della richiesta.
Il responsabile del
procedimento di rilascio del permesso di soggiorno, qualora continui
ad essere inerte, nonostante la cosiddetta "messa in mora" potrà,
trascorsi 30 giorni, essere denunciato alla competente autorità
giudiziaria ai sensi dell'art. 328 del codice penale comma 2 e cioè
per omissione d'atti d'ufficio.
Di fronte a tale
pericolo è difficile trovare un'amministrazione che continui nel suo
sonnolento silenzio.
Da quanto sopra detto
appare evidente che per sollecitare le Questure al rilascio del
permesso di soggiorno e più in generale per sollecitare la P.A. al
rispetto dei termini previsti dalla legge il primo passo da compiere,
qualora vi sia un ritardo di almeno 60 gg., consiste nella diffida ad
adempiere.
"Arresti e accompagnamenti illegittimi: si ha diritto al
risarcimento dei danni"
"Arresti obbligatori e
accompagnamenti alla frontiera sono illegittimi: chi li ha subiti può
chiedere il risarcimento dei danni..."
…questi gli effetti
delle due recenti sentenze della Corte Costituzionale.
Cosa è cambiato?
Diversamente da come
accadeva prima, se le forze dell'ordine troveranno qualcuno che non ha
rispettato un ordine di espulsione, non potranno più arrestarlo.
Attenzione però: questo vale solo per chi è alla sua prima espulsione,
per i recidivi le regole non sono cambiate: arresto obbligatorio e
reclusione da uno a quattro anni.
E per quanto riguarda
gli accompagnamenti alla frontiera?
Sono bloccati anche
quelli. Sarebbero conformi alla Costituzione solo se prima
dell'accompagnamento il cittadino straniero comparisse di fronte al
giudice e se la convalida arrivasse prima dell'accompagnamento. Solo
così verrebbe garantito il diritto alla difesa.
Siccome non esiste una
norma che prevede questa procedura, bisogna aspettare che la legge
venga modificata.
Quindi ormai arresti
e accompagnamenti alla frontiera sono fuori legge?
Si, e lo rimarranno
finché una legge non colmerà le lacune evidenziate dalla Corte
Costituzionale.
Per fronteggiare
l'emergenza il ministero degli Interni ha disposto che chiunque viene
trovato in una posizione irregolare venga accompagnato e trattenuto
presso un Centro di Permanenza Temporanea. La permanenza in questi
centri è conforme alla legge, poiché non si tratta di un vero arresto,
ma di una cosiddetta "detenzione amministrativa". Inoltre, il
magistrato ha sessanta giorni di tempo per convalidare l'espulsione,
quindi è salvo anche il diritto di difesa. Si tratta comunque di un
rimedio provvisorio: la legge va cambiata.
E se intanto le forze
dell'ordine continuassero ad applicare arresti e accompagnamenti?
Sarebbero atti
arbitrari, non conformi a nessuna legge. Creerebbero danni ingiusti a
carico dei cittadini stranieri, che avrebbero quindi diritto al
risarcimento dei danni. Non bisogna poi dimenticare, ed è forse
l'aspetto che creerà più problemi applicativi, che le sentenze della
Corte Costituzionale hanno effetto retroattivo…
Quindi?
Quindi tutti i giudizi
pendenti che hanno ad oggetto ricorsi contro accompagnamenti alla
frontiera e arresti potranno ritenersi decaduti, annullati. Le
espulsioni non avranno più efficacia, e si avrà diritto a chiedere il
risarcimento dei danni. Quanto agli arresti, non se ne possono più
annullare gli effetti, ma rimane il diritto al risarcimento per
ingiusta detenzione.
E chi non ha
presentato ricorso?
A chi è ancora nei
termini, sessanta giorni dalla notifica del provvedimento, consigliamo
di farlo subito. Anche se il governo dovesse intervenire con un
decreto legge, questo non avrà valore retroattivo, e quindi arresti e
accompagnamenti coattivi eseguiti prima del decreto rimarranno
illegittimi. Il consiglio vale anche per chi si trova all'estero:
potrà presentare ricorso tramite il consolato italiano oppure
nominando un avvocato in Italia con procura speciale fatta sempre
presso il consolato.
Opporsi all’espulsione - Quando è possibile
Quando non possedete il permesso di soggiorno e vi trattenete in
Italia irregolarmente o anche clandestinamente, potete andare incontro
alla espulsione.
L’espulsione che
impropriamente viene chiamato "foglio di via" è un provvedimento
emesso dal Prefetto del luogo in cui è stata rilevata l’irregolarità,
con il quale viene chiesto al cittadino extracomunitario privo di
permesso di lasciare il territorio italiano.
Avverso il decreto di
espulsione (da non confondersi con il rifiuto del permesso di
soggiorno, ancora oggi impugnabile al TAR) è possibile opporsi,
qualora vi siano fondati motivi, innanzi al Tribunale del luogo in cui
hanno sede la Prefettura e La Questura che ha disposto l’espulsione.
Per potersi opporre
all’espulsione è necessario depositare il ricorso con tutta la
documentazione, a pena di decadenza, entro 5 gg. Dal momento in cui è
stato consegnato il decreto di espulsione (si tratta della relata di
notifica che solitamente è posta dietro il provvedimento di
espulsione).
Dal giorno in cui viene
attestata l’avvenuta comunicazione dell’espulsione entro 5 giorni
bisogna:
1) trovare dei giusti
motivi che possano essere considerati fondamentali ai fini
dell’accoglimento del ricorso (ad esempio siete sposati con un
cittadino della comunità europea, oppure avete chiesto il rifugio
politico ecc…);
2) redigere il ricorso;
a) depositarlo in
cancelleria (ufficio immigrazione) oppure al ruolo generale con tutti
i documenti che possono servire ai fini della valutazione del giudice;
b) chiedere,
contemporaneamente al deposito del ricorso e se non conoscete la
lingua, l’aiuto di un interprete;
c) attendere la
comunicazione del giorno dell’udienza. Tale comunicazione, vista
l’urgenza che caratterizza la procedura dell’opposizione al decreto di
espulsione, viene fatta a mezzo fax. In questo fax la cancelleria
comunica la data e l’ora in cui si svolgerà l’udienza.
Il giudice fissa
l’udienza ed emette il provvedimento con cui accoglie o respinge il
ricorso entro 10 gg dal giorno dell’avvenuto deposito del ricorso. Se
il giudice risponde dopo che siano trascorsi i 10 giorni il suo
provvedimento è nullo e ci si può opporre.
Il giorno dell’udienza,
che si tiene in camera di consiglio, il giudice fa a chi ricorre
alcune domande inerenti al ricorso presentato. Se vi sono testimoni,
indicati nel ricorso, potrà sentirli.
Al termine dell’udienza
il Giudice può anche decidere di emettere il provvedimento che potrà
essere sia di accoglimento che di rigetto, anche se in genere il
provvedimento viene emesso in un momento successivo e viene depositato
direttamente in cancelleria
Per ulteriori informazioni chiedi parere all'avvocato dello studio
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